mercoledì 1 giugno 2016

DIALOGHI IMMAGINARI - un finale alternativo (racconto)

Finalmente è giunta l'ora.
Dovrei avere paura, ma quello che sento è solo sollievo.

Credevo che avrei provato almeno un brivido, un po' di tensione, ma non c'è nulla di tutto ciò. Ci penso da così tanto tempo, a questo momento, che non mi è rimasto niente da provare. Sono già passato attraverso tutto lo spettro delle emozioni umane, come direbbe il mio psicologo. La negazione, la rabbia, il lutto, l'accettazione.  Vorrei solo che si sbrigassero. La cosa più fastidiosa è questa ulteriore attesa. Sono due anni che aspetto.  Ora che finalmente sto per avere pace, vorrei averla in fretta. Pace. Questo pensiero mi fa sorridere come se stessi per andare a una festa attesa da tanto. Filtra una luce pallida dalla finestra, piccoli soli ricamati danzano sulle pareti, riflessi dalle candide tende ed illuminati dal sole di tarda estate. Tutto è candido qui, mi domando perchè. Siamo in un ospedale, ma doppotutto non vi è alcuna necessità che tutto sia sterile, no? A chi importa? Che differenza farebbe se l'ago che mi pungerà tra poco fosse infettato dalla peste bubbonica? Potrei morire di più? Una bella infezione post mortem, magari? Già, sono un tipo divertente, non riesco a smettere di sorridere. Il mondo perde oggi un grande umorista.

Mi guardo intorno, muovo gli occhi e poco altro e ancora una volta mi rallegro che questa tortura stia per avere termine. Sono impaziente di cominciare. O di finire, secodo i punti di vista. Mia madre e mio padre si tengono per mano, sono in piedi accanto alla porta, dritti come fusi, immobili, non sembrano nemmeno vivi. Respirano a stento, ora che ci faccio caso. Quanto tempo è che non li vedo più sfiorarsi, nemmeno per sbaglio? Anni, ad occhio e croce. Ed oggi addirittura sono mano nella mano. Evidentemente la situazione richiede una speciale gestione. Mia madre serra la mascella e un muscolo compare e scompare velocemente in mezzo al suo viso. E' tesa, ma non è solo questo. Sembra spenta. I suoi occhi dovrebbero essere verdi, ma da qui sembrano di un brutto color del fango, senza vita, senza movimento. Persino le palpebre sono bloccate nella fissità del suo sguardo. Ad un tratto sembra che stia per muoversi, e ho l'impressione che se lo facesse la sua superficie si screpolerebbe come un vaso di argilla lasciato troppo a lungo nel forno, che si sgretolerebbe pezzo dopo pezzo fino a rimanere solo un mucchietto di sabbia raccogliticcio, dove fino a poco prima c'erano i suoi piedi. Non merita questo dolore, lo so bene. Non è colpa sua. Ma dopotutto, non è nemmeno mia.

Mio padre invece ha l'aria di chi vorrebbe trovarsi ovunque tranne qui. Non è uomo da addii, lui. Quando ero bambino mi salutava sempre frettolosamente prima che partissi per il campeggio, ed in seguito ha sempre fatto lo stesso, quando partivo per il college, o per uno dei miei viaggi di prima. Potevo stare via un giorno o un anno, lui allungava la mano e stringeva la mia, mi dava una pacca sulla spalla ed invariabilmente diceva "buona fortuna, figliolo", e questo era tutto. Ora che sto partendo per un viaggio molto più lungo, a quanto pare non ci sarà nemmeno questo. Beh, la stretta di mano certamente no. Ma dov'è la mia pacca, e il mio buona fortuna? Le sue rughe di espressione sembrano essersi accentuate molto durante gli ultimi giorni. Il viaggio ed i preparativi sono stati pesanti per tutti, tranne me ovviamente, ma di certo c'è anche altro. Come per mia madre,immagino che la vera battaglia si stia svolgendo dentro di lui. Per cosa combatte, non saprei dire. Se per sopportare la mia partenza, per tollerare la mano di mia madre nella sua o semplicemente per avere la forza di non scappare fuori dalla stanza perdendosi gli ultimi istanti della vita di suo figlio.

Mia sorella è sprofondata nella poltrona vicino alla finestra e piange senza ritegno, senza curarsi di mostrarsi ne' di inondare di lacrime la sua bella maglia di cachemire. Se va avanti così, sarà da buttare prima che sia tutto finito. Ci siamo salutati già da qualche ora, lei è assolutamente contraria alla mia scelta e ha cercato di convincermi fino all'ultimo a cambiare la mia risoluzione. Ha usato persino Lou per farlo, per provare a convincermi. Ma la verità che nessuno comprende è che la presenza di Lou nella mia vita mi rende se possibile ancora più certo della mia decisione.

Desiderare disperatamente qualcosa che non si può avere è tremendo. Ma le persone normali hanno sempre la possiblità di provarci. Di agire, di tentare di arrivare esattamente dove vogliono essere. Io no. Io non ho nulla, nemmeno la speranza. Lo so da tempo ormai. All'inizio mi ero illuso, ma ormai mi è perfettamente chiaro. Amare una donna così tanto, e non poterla toccare, è insopportabile. Sentire il desiderio nel cervello, così prepotente che ti sembra di svenire, mentre il tuo corpo giace inerme ed immobile... è insopportabile. Sapere di non poterla rendere felice, è una tortura. Guardarla mentre si limita, si comprime, rinuncia a tutto per restarti accanto... no, non è per me. Non potrei vivere così, non potrei farle questo. Lei ha diritto di vivere, di trovare la sua strada. Ma non se io resto. Se io resto, lei è in trappola. La verità è che amarla mi ha reso ancora più determinato. Non se l'aspettava, questo, mia madre.

Naturalmente lei è qui. Lou. E' coraggiosa la mia piccola ape, mi guarda fisso, è seria ma mi sorride. Tiene la mia mano buona, e l'unica senzazione che provo è quella delle sue dita che mi accarezzano senza sosta. Ha una piccola ruga in mezzo agli occhi, quella che le viene sempre quando è preoccupata. Ma sorride. Ha i capelli arruffati come al solito ed è in grandissimo contrasto con il resto dell'ambiente, così colorata e stravagante. Al confronto la mia famiglia sembra uscita da una rivista di moda per becchini.  Ma bisogna ammettere che Lou sarebbe in contrasto con qualunque ambiente. Sembra stranamente inadatta e contemporanamente perfettamente in tono con qualunque luogo. E' una caratteristica sorprendente. Cambia l'atmosfera di una stanza solo entrandoci. Vorrei dire che porta allegria, ma sarebbe riduttivo. E' tutto il complesso emotivo che si respira in una certa situazione che si modifica grazie alla sua sola presenza. Beh, è quello che è successo a me, comunque. Chi poteva immaginarlo. Non ho mai incontrato una persona come lei, e anche questo è sorprendente perchè nella mia vita di prima, frequentavo gente in tutti i continenti. Vorrei averla conosciuta per tempo. Mi piace immaginare tutte le cose che avremmo potuto fare insieme, i posti dove l'avrei portata. L'avrei sorpresa, sempre. Ma la verità è che se l'avessi incrociata prima dell'incidente, non le avrei dedicato un secondo sguardo, così originale e stravagante come appare. Sarei passato oltre i suoi capelli neri, oltre le sue improbabili giacche fatte a mano e le scarpe colorate come se lei non esistesse. Si, ero un vero idiota.

Sento un piccolo scatto metallico e percepisco, più che vederla, la maniglia della porta muoversi. I miei occhi sono incatenati a quelli di  Lou, anche lei sente la porta aprirsi ed emette un piccolo sospiro. Il dottore entra. Indossa il solito camice bianco, impeccabile, inamidato, senza un alone. Ha lo stetoscopio di rito attorno al collo e in mano un piccolo vassoio di metallo, con una siringa, una laccio emostatico, un batuffolo di cotone e del disinfettante. Ancora questa mania della sterilità! I suoi occhi sono calmi, rassicuranti. Richiude la porta e si ferma un istante, mi guarda con una domanda senza voce. Annuisco appena, e sento la mano di Lou stringersi più forte alla mia. Mia sorella emette un singhiozzo rumoroso e spezza la perfezione del momento. Mia madre e mio padre assumono un'aria se possibile ancora più spaurita.  Come lepri inchiodate al centro di una strada trafficata, ipnotizzate dai fari dell'auto che si avvicina, fissano il vassoio e la siringa senza riuscire a distogliere gli occhi.

Il dottore si accosta al mio letto, mi scopre il braccio, e vagamente sento il laccio emostatico stringersi dove una volta avevo un invidiabile bicipite da free climber. Continuo a fissare Lou, voglio che sia lei l'ultima cosa che vedrò in questo mondo. Lei mi sta ancora sorridendo, e di nuovo mi sorprendo del suo coraggio, della sua forza. Non c'è una lacrima sul suo viso, tiene lo sguardo fisso nel mio come se volesse imprimere questa immagine nella sua mente per non scordarla.

Poi accade tutto in una frazione di secondo.
Sono bravo a notare i minimi dettagli, quando gli occhi sono praticamente l'unica parte del tuo corpo che funizona impari a sfruttarli al massimo. Vedo le sue palpebre abbassarsi impercettibilmente, le sue pupille dilatarsi e restringersi improvvisamente. Sento la sua mano lasciare la presa sulla mia ed in un istante, Lou esce dal mio campo visivo. La vedo scivolare a terra, scossa da brividi forti come spasmi.

Il mio cuore si ferma. Mi volto verso il dottore,  ma l'ago non ha ancora bucato la mia pelle. Perchè allora il mio cuore si sta fermando, perchè non sto respirando? Per una frazione di secondo, penso che Lou si sia avvelenata per morire con me. Una minuscola parte del mio cervello si congratula con lei per la perfetta scelta dei tempi, ma tutto il resto è in preda a un panico cieco e assoluto, una sensazione di puro terrore, che non ho provato nemmeno quando mi sono risvegliato in un letto senza poter muovere nulla al di sotto della quinta vertebra cervicale. Nel tempo di un battito di ciglia vedo nella mia mente Lou fredda e immobile, circondata da fiori e penso stupidamente che non può morire, perchè non le piace stare al buio. Immagino di dover vivere senza di lei, immagino come sarebbe la mia vita ora, ora che l'ho incontrata, se dovessi perderla. Mi vedo immobile davanti alla sua tomba con un mazzo di fiori in grembo. Non deve essere passato più di mezzo secondo da quando ho sentito la sua mano scivolare via dalla mia, ma il tempo sembra rallentato, il dottore è ancora li, con la siringa a mezz'aria, che fissa la scena come se non capisse cosa sta accadendo. Ritrovo la voce e urlo "la soccorra!"

Il dottore si ridesta. Mi guarda per un istante e posa la siringa di nuovo sul vassoio. Preme il pulsante di emergenza sopra il mio letto e si affretta verso Lou che è ancora scossa da spasmi accanto al mio letto. La sensazione di impotenza che provo è devastante. Il mio istinto ed il mio cervello comandano al mio corpo di precipitarmi da lei ma come sempre nulla si muove se non i miei occhi. Posso solo guardare. Arrivano alcuni infermieri con una barella, sollevano Lou che si contorce e la portano via a passo di corsa. Mi domando se in un posto come questo siano in grado di prendersi cura dei vivi bene quanto dei morti, e sento come se mi stessero strappando le viscere fuori dal corpo.

I miei genitori sono inebetiti, mia sorella ha smesso finalmente di singhiozzare e ha gli occhi arrossati e fuori dalle orbite. Ci guardiamo in silenzio per un attimo senza sapere cosa dire o cosa fare. Beh, loro, perchè io saprei esattamente cosa fare anche se naturalmente non posso. Con tutta la calma che riesco a racimolare dico "Aiutatemi a mettermi sulla sedia" ma dalla gola esce un rantolo quasi incomprensibile e infatti nessuno si muove. Dopo un attimo, il dottore rientra. "Mi dispiace Will per questo terribile contrattempo" dice. Cerca di mantenere un contegno e quel suo sguardo rassicurante che deve essergli costato anni di pratica, ma si vede che è scosso. "La tua amica viene assistita al meglio" Esita per un istante, poi: "Ora desideri che portiamo a termine la procedura?"
La procedura. Deve essere difficile sviluppare la capacità di parlare con tanta naturalezza della morte, senza mai nominarla. E' molto delicato da parte sua, e sospetto che sia una delicatezza destinata più ai parenti che al paziente. Ha la siringa in mano, attende un mio cenno. Che non arriva.
"No" rispondo.
I miei e mia sorella si voltano di scatto a guardarmi.
"Vorrei che qualcuno mi aiutasse a mettermi sulla mia sedia, in modo che io possa andare da Lou, per favore" dico con quanta più gentilezza possibile. Quello che vorrei dire in realtà è muovetevi stronzi, ma temo che non sarebbe di aiuto.

Il dottore sorride. Preme di nuovo il bottone sopra il mio letto e due infermieri si materializzano in un istante sulla porta, con quella che suppongo debba essere la barella destinata al mio corpo senza vita. Mi guardano, evidentemetne stupiti di vedermi vivo, poi si rivolgono al dottore in attesa di istruzioni. Il dottore li istruisce e loro eseguono velocemente quanto richiesto. In pochi minuti sono vestito, pettinato e seduto sulla mia sedia a rotelle accanto al letto dove Lou è stata ricoverata. I miei genitori e mia sorella sono ammutoliti, seguono ogni mia mossa restando un po' a distanza, straniti. Non capisco se siano sollevati perchè dopotutto oggi non morirò, oppure se abbiano ancora più paura di dover riaffrontare tutto daccapo domani. Non accadrà, ma loro ancora non lo sanno.

Resto immobile a guardare Lou per molto tempo, sono allenato a fare questo. Le è stato somministrato un lieve sedativo e ora dorme. Dopotutto, non aveva cercato di avvelenarsi, mi vergogno di averlo pensato. E' soltanto svenuta, è stata così forte e composta per tutto il tempo che alla fine non ha retto la tensione degli ultimi istanti. Mia povera piccola ape, cosa ti ho fatto? A mia discolpa posso dire che il terrore aveva completamente ottenebrato il mio cervello.

Quando finalmente apre gli occhi e mi vede, sembra sul punto di svenire di nuovo. Io le sorrido e lei da sfogo finalmente a tutte le sue emozioni piangendo disperatamente. Dio come vorrei poterla abbracciare. Mi assale una rabbia cieca, furibonda. Penso per la milionesima volta che questa non è vita ed io non voglio viverla, che avrei dovuto dar corso alla procedura e farla finita quando il dottore me l'ha chiesto. Penso che sono un povero illuso. Ma poi la guardo piangere e sento un'eco del terrore che ho provato quando è svenuta. E la rabbia, improvvisamente e forse per la prima volta dopo l'incidente, svanisce. La stanza in cui ci troviamo è identica alla mia, è la stanza di qualcuno che desidera morire. Questo acuisce il senso di panico nel mio stomaco. Non mi piace che lei sia qui.

"Lou, vieni qui, per favore" le dico.

Lei si alza cautamente, un po' malferma sulle gambe. Si asciuga il viso e mi si siede in braccio, circondandosi con le mie braccia e tenendomi la mano. Indossa soltanto una maglietta bianca e gli slip e nonostante il momento, la desidero con tutto me stesso. Si abbandona sulla mia spalla e lentamente smette di piangere. Tengo il mio viso appoggiato sui suoi capelli, è tutto l'abbraccio che mi è concesso darle. Non è molto, ma è qualcosa. "Sei qui" mi dice. "Sei..." Esita. "Sei vivo".

Già. Sono vivo. Le sorrido.
Lei sembra titubante. Le si accende un barlume negli occhi.
"Significa che... Will, significa che hai cambiato idea?"
Ed eccola, la domanda da un milione di sterline. La madre di tutti i quesiti.
Significa che ho cambiato idea? Ho davvero cambiato idea? Ho la vista annebbiata e un ronzio nelle orecchie. Mi sembra di galleggiare, come se solo il peso di Lou sulle mie ginocchia mi tenesse attacato a terra. Lei è la mia ancora.
Ho perseguito l'obiettivo di mettere fine alla mia esistenza per un tempo molto lungo, ho pensato praticamente solo a questo negli ultimi due anni - tranne quando pensavo a Lou naturalmente. Sono veramente pronto ad accantonare tutto e a provare a vivere di nuovo nonostante tutto? Che strano destino. Quando nemmeno l'amore di Lou mi ha dato la forza di andare avanti, l'ho trovata nel terrore della sua morte.
Chiudo gli occhi per un momento e quando li riapro lei mi sta fissando con i suoi ancora arrossati di pianto. "Si, ho cambiato idea" dico.

Dietro di me sento del trambusto, una specie di rantolo soffocato, immagino che sia mia madre, o mia sorella, o entrambe, che assimilano la notizia. Non me ne curo, ho occhi solo per Lou. Ci sarà tempo per il resto. Lou lancia un grido, poi mi abbraccia strettissimo e mi bacia. Questa è una cosa che possiamo fare insieme. Ci baciamo a lungo, sento le sue mani sul mio viso e il sapore delle sue lacrime sulle mie labbra.
Il momento più perfetto della mia vita.
Penso che se potessi restare così per i prossimi 40 anni sarei un uomo felice.
Si stacca da me dopo un tempo infinito e mi domanda perchè.

E' la giornata delle domande difficili. Rifletto un istante se rispondere solo "perchè ti amo" o se dirle la verità. Opto per la verità.
"Lou... sono stato un egoista. Quando ti ho vista cadere, accanto al mio letto... ho pensato che stessi morendo. Io... perdonami, Dio, perdonami ma per un momento ho pensato che ti fossi uccisa. E' stato... non so spiegartelo. Per una frazione di secondo ho provato quello che devi aver provato tu per tutti questi mesi, sapendo quel che avevo in mente.  E' stato poco più di un attimo, ma l'ho trovato completamente intollerabile. Il mio cuore ha smesso di battere Lou. E anche se era proprio per questo che ero li, improvvisamente non l'ho più desiderato. E l'ho capito solo in quel momento, solo quando l'ho provato. Ho capito che non posso farti questo, non voglio causarti una tale sofferenza. Perdonami per esserci arrivato così tardi"

Lou mi guarda. E' incredula. Attende che io prosegua con un "ma nonostante ciò..." e quando questo non avviene, improvvisamente diventa raggiante. Si alza e batte le mani saltellando come una bambina. Piange e ride insieme, dice frasi senza senso su quello che faremo e quanto saremo felici. Eccola, la mia Lou. La mia piccola ape mi ronza intorno tutta felice.

Detesto farlo ma ci sono ancora delle cose che devo dirle. Le chiedo di fermarsi, lei fa il broncio. Dio quanto amo quell'espressione, vorrei non staccarmene mai. Qui, in una clinica della buona morte, in una sera qualunque di settembre, io un tetraplegico che ha desiderato per anni solo di morire, ho trovato tutto quel che si può desiderare dalla vita. Sono incredulo io stesso.
Lou si siede sul letto davanti a me, mi guarda e attende. Ho avuto tempo per pensarci, mentre la guardavo dormire.
"Ok, ascoltami. Ti ho detto che ho cambiato idea ed è la verità. Ma ci sono due condizioni. Ti chiedo di rispettarle" E' sospettosa, le si forma la ruga in mezzo agli occhi. "Quali condizioni?"

"La prima è questa: se arriverà il giorno in cui troverai troppo gravoso restarmi accanto, dovrai dirmelo e andare via. Io lo capirò Lou, davvero. Non ce l'avrò con te, te lo giuro. Tutto il tempo che mi darai è tempo rubato alla morte, è tempo in più per me. Devi promettermi che quando non ce la farai più te ne andrai." Sembra più rilassata. Ridacchia. "E' tutto qui? Non accadrà mai" dice convinta. Sapevo che avrebbe risposto così, ma insisto e alla fine lei promette. So che prende seriamente le sue promesse, e questo un po' mi tranquillizza. Tenerla intrappolata a vita accanto a un paralitico mi appare ancora come una soluzione egoista e terribile.
"E la seconda?" mi chiede.

Questa è più difficile. So che sarà più difficile anche per lei. Mi prendo il mio tempo per mettere insieme le parole giuste. Le dico che so che le mie condizioni non potranno migliorare, e che anzi probabilmente peggioreranno. So che abbiamo davanti pochi anni nei quali starò bene, ovvero starò come adesso, ma che poi poco alla volta il mio corpo comincerà a cedere, un pezzo per volta. Sono volutamente crudo, violento nel dirle questo. Scendo in dettagli raccapriccianti. Deve sapere cosa la aspetta. Vedo il suo viso rabbuiarsi, ma la sua determinazione non vacilla. Le chiedo di promettermi che quando questo avverrà, quando la mia condizione non mi consentirà più una vita dignitosa, lei mi riaccompagnerà qui e metteremo insieme fine a tutto. La nostra è una storia con data di scadenza, scherzo, ma in fondo agli occhi sono serissimo e lo è anche lei. Riflette un secondo, uno solo. Ha di nuovo il viso rigato di lacrime ma sono lacrime silenziose e composte. I piccoli soli ricamati danzano ancora sulle pareti e mi sorprendo che sia passato così poco tempo da quando il dottore è entrato dalla porta con la siringa per me. Il sole è ancora alto. La mia vita è cambiata in una frazione di secondo tre anni fa, e di nuovo una frazione di secondo è bastata per cambiarla oggi. Devo ammettere che sono colpito. Forse anche solo per questo vale la pena resistere.

"Prometto" risponde Lou. Poi si asciuga il viso e mi rivolge il più speranzoso dei sorrisi. "E adesso, possiamo andare a casa, per favore?"

10 commenti:

  1. WOW...Meraviglioso...letto tutto d'un fiato! Isa.

    RispondiElimina
  2. Che meraviglia! Bellissimo mia cara, mi sono anche commossa. Un bacio.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie. È il mio finale alternativo al romanzo "Io Prima di Te". Ogni tanto mi prende così...

      Elimina
  3. Sei davvero brava! Mi unisco ai tuoi lettori fissi..se ti piacere puoi ricambiare :)A presto, un bacio!

    http://myspaceofbeautybygiada.blogspot.it

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie, io in realtà sono un disastro con creme cosmetici e quant'altro... però ti seguo volentieri. Chissà mai che tu possa svegliarmi!!!! A presto.

      Elimina
  4. D'accordo, ho pianto come una bambina leggendo il tuo finale!
    Complimenti per aver mantenuto i personaggi e lo stile di scrittura dell'autrice e per aver trovato con grande maestria l'unico modo possibile in cui Will avrebbe potuto cambiare idea.
    Ancora complimenti,
    Fabiola

    RispondiElimina
  5. Complimentissimi!
    Coerente con la storia ed emozionante.

    Francesca

    RispondiElimina