lunedì 19 settembre 2016

DIALOGHI IMMAGINARI - GENTE DEL NORD (TRE)

La mattina successiva ero estremamante più rilassato, avendo passato la prima metà della notte in compagnia di una puttana piuttosto capace e fantasiosa, e la seconda metà dormendo profondamente per la spossatezza, come non mi capitava dall'inizio della campagna militare.
Ero stato convocato dal re, insieme ad alcunui altri guerieri, per discutere della strategia del prossimo attacco, ma avevo fatto una colazione molto abbondante e mi sentivo pigro, soddisfatto e piacevolmente indolenzito. Passeggiavo senza meta, riappropriandomi dei profumi, dei volti, dei rumori del villaggio che, malgrado cercassi di mantenermi lontano dai sentimentalismi e dalle emozioni, mi erano mancati molto. Tutti mi guardavano, tutti sapevano chi ero, perchè le storie di guerra avevano già cominciato a circolare grazie al passaparola delle prostitute che avevano ascoltato i racconti dei miei compagni d'armi tra un amplesso e l'altro la notte precedente, per poi divulgarle con chiunque avesse voglia di ascoltare. Ovvero, praticamente tutta la popolazione.

Avvicinandomi alla sala dei banchetti, vidi tre soldati che scortavano qualcuno che scalciava e si dimenava fuori dal palazzo reale.  Non ci misi molto per rendermi conto che si trattava di Alyssa, ancora vestita come la sera precedente ma considerevolmente più lacera e sporca. La ragazza si stava contorcendo come una vipera ed emetteva grida di indignazione di notevole intensità. Avrei giurato di averle visto dare anche qualche morso. Uno dei soldati alla fine le aveva messo una corda attorno al collo e la tirava come una giumenta recalcitrante alla cavezza. Il suo viso era parzialmente tumefatto ed aveva i capelli incrostati da quello che supposi dovesse essere un residuo di sangue, ma camminava con le sue gambe e non lo giudicai perciò un segno preoccupante. La gaurdavo a bocca spalancata, ancora una volta in preda allo stupore e all'ammirazione, quando lei mi vide e mi rivolse uno sguardo obliquo, soddisfatto e sornione, come quello di un gatto che se la svigna con un grosso topo tra le fauci. Essendo chiaramente stata picchiata in modo violento, mi pareva che dovesse essere più nella situazione del grosso topo che non in quella del gatto, e non riuscii a capire il suo compiacimento. Le guardie la trascinarono faticosamente lontano dalla strada, immaginai che la portassero verso la casa degli schiavi... ma c'era la possibilità che venisse legata al palo, visto il modo in cui si stava comportando, e magari frustata. Di nuovo la sua vista evocò nella mia mente l'immagine di Freya la magnifica, e di nuovo provai il contemporaneo impulso di unirmi ai soldati e darle una bella lezione.


Pochi minuti dopo, vedendo il Re, mi fu tutto chiaro. Sua Maestà sfoggiava cinque grossi sfregi sul viso, profondi ed arrossati, causati chiaramente dalle unghie di qualcuno che lo aveva aggredito volontariamente, ferendolo in maniera non grave ma senz'altro imbarazzante.
Capii, non senza meravigliarmi ulteriormente, che le botte erano state l'unica forma di violenza alla quale Alyssa si era piegata la sera prima: doveva aver resistito alle profferte del Re e combattuto ferocemente per restare inviolata, e a giudicare dal trattamento riservatole quella mattina, doveva anche avere avuto successo. Un piccolo nodo duro che non sapevo di avere si sciolse nel mio stomaco. Sollievo? Mi stupii: perchè mai avrei dovuto provare sollievo, o qualunque altra cosa, per quella furia scatenata?
Ma la vera domanda era perchè Alyssa fosse ancora viva. Se si era rivoltata contro il re e aveva rifiutato il suo letto, il re umiliato non avrebbe esitato a farla uccidere. Ma forse, poiché aveva dichiarato di essre una guaritrice, le sue conoscenze erano più preziose di quanto fosse grave il suo affronto. Doveva essere una guaritrice molto valida, ma mi domandavo come il re potesse esserne venuto a conoscenza la sera precedente, tanto da decidere di risparmiarle la vita dopo essere stato aggredito e respinto. Stavo ancora cercando di immaginare la scena nella mia mente, divertito, quando l'incontro ebbe ufficialmente inizio.


Eravamo seduti attorno a un grosso tavolo, il Re in posizione dominante. Le serve di palazzo, tra cui mia madre,  avevano portato numerosi boccali di birra e focacce, cosicchè quando venne il mio turno di parlare, la maggior parte dei miei interlocutori erano già quasi ubriachi. La vittoria inebria più della birra di malto, questo è certo, e noi eravamo ebbri di entrambe. La parte strategica della riunione fu abbastanza breve, fu deciso su mia proposta di non prepararci per un nuovo attacco ma di attendere che il nemico osasse presentarsi alle nostre porte. Avevamo riportato diverse schiaccianti vittorie nelle ultime tre o quattro stagioni, e contavo quindi in cuor mio che questo non avvenisse mai. Anelavo la pace e il mio coltello da intaglio, pur non potendo ammetterlo apertamente. Mi ero concentrato invece sulla pochezza, la debolezza e la stoltezza di Lokturn, che non valeva lo sforzo fatto per andare a razziare i suoi miseri villaggi. La realtà, in effetti, era ben diversa: si trattava un popolo colto e ben organizzato, che aveva delle tecniche di coltivazione che mi sarebbe piaciuto conoscere meglio, e, beh, le loro donne erano decisamente... di nuovo lei? oh basta! Mi distolsi repentinamente dal pensiero delle donne di Lokturn, o più precisamente di una particolare donna di Lokturn, e proseguii. Avremmo rafforzato le fortificazioni durante l'inverno fino a rendere Kilkie impenetrabile, nel remoto caso di un attacco. Alcuni dei guerrieri si sarebbero trasformati in boscaioli e falegnami, per la costruzione delle palizzate e il posizionamento di pali difensivi appuntiti, altri avrebbero fatto pratica con arco e frecce e sarebbero diventati sentinelle. Vista la mia attitudine a lavorare col legno, fui messo a capo dei primi.


Una volta prese tutte le decisioni, fu il momento di suddividere il bottino. Le ricchezze andavano per la maggior parte al Re, naturalmente, ma una parte veniva spartita equamente tra chi aveva preso parte alla battaglia. Scelsi per secondo, dopo Floki, che era il guerriero vivente più anziano. Questo  lasciò intendere che, dopo aver debitamente onorato l'esperienza e la saggezza, ero considerato il guerriero più valoroso. Gunther non lo apprezzò affatto, ci potete giurare. Presi un bracciale d'oro e pietre per mia madre, uno d'argento massiccio per mio fratello Lok e un piccolo pettine d'oro e osso per mio fratello Suri. Suri aveva recentemente incontrato la giovane figlia di un locandiere e se ne proclamava follemente innamorato. Lui sarebbe diventato un artigiano, un birraio magari? e non c'era alcna pressione perchè conducesse una vita solitaria, come era invece per i guerrieri. A nessun popolo piace creare vedove e orfani. Ero certo che gli avrebbe fatto piacere avere un bell'oggetto da regalare alla sua fanciulla. Per me scelsi invece una splendida spada dall'elsa riccamente decorata,  perfettamente bilanciata e con un peso che la rendeva utilizzabile sia come spadone a due mani sia in modo più agile, con una mano sola, a patto di avere una muscolatura adeguata. E io, decisamente, l'avevo.

La suddivisione degli schiavi invece era una pura formalità.
Gli schiavi vivevano tutti insieme, ed il loro lavoro era a disposizione di tutti. Fatta eccezione per gli schiavi di palazzo, chiunque ne avesse necessità poteva richiederne i servigi, ed utilizzarli a suo piacimento. Tuttavia per equità, venivano formalmente suddivisi. Seguendo quello che mi sforzai di considerare un impulso momentaneo, rivendicai per me la proprietà di Alyssa e quella di Viki, che immaginavo nessuno avrebbe richiesto data la sua giovane età e la gracilità del fisico. Misi ferocemente a tacere la voce nella mia testa che mi derideva per aver scelto Viki al solo scopo di
compiacere Alyssa. Quando la nominai attorno al tavolo udii più di un brusio, e vidi più di un ghigno. Ovviamente tutti pensarono che l'avessi scelta con l'intenzione di farmi scaldare il letto nel lungo inverno che ci attendeva, e il Re reduce da una esperienza fallimentare in tal senso, mi guardò con evidente divertimento.
- Tanti auguri, Erik, se speri di piegare quella puledra - mi disse toccandosi le ferite sul viso e scatenando l'ilartà generale. - Ci vorrebbe il padre Odino per sottometterla! Ti ritroverai con un morso nelle parti basse, dai retta a me!
Sorrisi partecipando allo scherzo generale, ma pensando in fondo in fondo che forse, un uomo più giovane e più possente del vecchio re avrebbe avuto maggior fortuna, pur non essendo Odino.


Passai il resto della giornata con poco da fare. Al rientro da una campagna militare ci veniva concesso sempre qualche giorno libero da incombenze o doveri, per riposare e rientrare nei ritmi di vita del villaggio. Avevo fatto visita a mia madre e ai miei fratelli per portar loro i doni che avevo
scelto dal bottino di guerra e ora gironzolavo rilassato pensando a come organizzare la raccolta del legname e la costruzione delle fortificazioni che sarebbe inziata entro qualche giorno quando, non del tutto casualmente, mi trovai davanti alla casa degli schiavi. Si trattava di un grosso capanno robusto, con un grnde focolare al centro e dei giacigli tutto intorno. Gli schiavi vivevano tutti insieme, uomini e donne, e di norma non possedevano nulla tranne i vesiti che indossavano.  La attorno al capanno era sempre molto affollata, l'attività ferveva. Alcune donne, con le maniche rimboccate, stavano lavando i mantelli dei guerrieri in grandi tinozze colme di acqua gelata e saponaria, mentre altre filavano o tingevano la lana. Spesso mantenevano in schiavitù la stessa occupazione che avevano avuto da persone libere, e ne notai alcune con mani e braccia leggermente colorate di verde o blu, segno che erano state tintrici, mentre alcuni uomini avevano le piccole cicatrici sottili di chi è abituato a maneggiare ami da pesca o piccoli arpioni. Vidi due uomini che spaccavano ceppi di legno con le asce, ma erano in evidente difficoltà: in parte perchè erano chiaramente pescatori ed in parte perchè il viaggio di ritorno era stato molto faticoso per tutti, ed erano quasi emaciati. Fortunatamente la mia gente riconosce il valore del lavoro degli schiavi e non lesina sulle razioni di cibo, come invece avevo visto fare da altri popoli meno lungimiranti. Si sarebbero presto ripresi.


Viki era seduta accanto ad alcune bambine più piccole che conoscevo, erano figlie di una amica di mia madre. Stava intrecciando loro elegantemente i capelli ed esse emettevano gridolini estasiati. Non per la prima volta mi domandai come sarebbe stato avere una sorella minore... se la morte di mio padre non avesse addolorato mia madre tanto da uccidere il bambino nel suo ventre, forse lo avrei saputo, e magari, come capofamiglia, adesso mi sarei trovato alle prese con la ricerca di un bravo ragazzo con cui sistemarla. Allontanai da me quel pensiero perchè la morte di suo marito e del suo bambino erano stati colpi tremendi per mia madre, che la avevano quasi uccisa a sua volta.
Quando mi vide, Viki mi si alzò e venne verso di me, timida.
- Padrone.... - mi disse - io.. ho saputo..... che siamo tue - buttò fuori di un fiato - Posso aiutarti in qualcosa?
Siamo, aveva detto. Quindi anche Alyssa doveva saperlo.
Il suo sguardo innocente mi lasciava spiazzato e senza parole, ma non potevo darlo a vedere.
- Non mi serve nulla per ora, Viki. Continua pure con le tue occupazioni.
Tornò a sedersi immediatamene, ma si voltò appena, istintivamente, per guardare verso la riva del fiume.
Non mi occorreva altro. Seguii la direzione del suo sguardo e vidi Alyssa che raccoglieva legna secca ed altro materiale da ardere per il focolare. Mi incamminai in quella direzione, e vorrei poter dire di non sapere perchè l'avevo fatto. La verità è che mi sentivo irresistibilmente attratto verso quella donna, dannazione, e perciò combattevo su un campo di battaglia che non mi era familiare, e mi sentivo a dirla tutta anche piuttosto stupido. Non avevo mai speso più di uno sguardo per le donne con le quali avevo condiviso il letto, e raramente lo condividevo più di una volta con la stessa donna. La vita di un guerriero è ardimentosa ma molto solitaria: quasi nessuno di noi si arrischiava a formare una famiglia, sapendo che da un momento all'altro avrebbe potuto partire per non fare più ritorno. Tuttavia avevamo pur bisogno di dar sfogo ai nostri lombi, e per questo le prostitute del villaggio erano la scelta migliore: erano disponibili, esperte, e non dipendevano da nessuno tranne se stesse per la propria sopravvivenza. Forse, se fossimo riusciti ad avere la pace...
Quando fui abbastanza vicino perchè sentisse i miei passi, Alyssa si fermò e si sollevò in tutta la sua altezza, dritta come una giovane quercia fiera, con il vento alle spalle che le faceva vorticare i riccioli attorno al viso, le vesti sollevate e svolazzanti.
Madre Freya aiutami, pensai, cosa ci faccio qui?
Tuttavia non mi fermai che quando la raggiunsi.
- Alyssa... - esordii senza sapere come avrei continuato
Lei mi guardava muta e immobile, senza tradire la minima emozione, che fosse paura o odio o disgusto.
- Ho rivendicato la tua proprietà, come forse sai, la tua e quella di Viki - dissi, rendendomi conto mentre parlavo di quanto suonassero arroganti quelle parole - Mi chiamano Erik Urlo di Thor. E' il mio nome in battaglia. In tempo di pace sono solo Erik l'intagliatore.
Alyssa sollevò un sopracciglio ma non si mosse. Desideravo che dicesse qualcosa, qualunque cosa, ma non fui accontentato.
- Sono venuto, umh... - ripresi titubante - a vedere come sta la tua faccia - riuscii a dire infine. - E' stata messa a dura prova due volte in pochi giorni.
Mi si attorcigliava la lingua e non riuscivo a mettere insieme le parole. Maledizione, detestavo mostrarmi irrisoluto. Davanti a una schiava, poi! In qualunque circostanza, ero stato educato fino da bambino a non lasciar trapelare non solo la debolezza, qualora ci fosse, ma nemmeno l'indecisione, o la confusione, per non parlare della paura. Un vero uomo non dubita mai di se stesso, non teme nulla poichè non teme la morte, non si ritrae davanti a una sfida e non si lascia contaminare dalle emozioni. Questo è il codice, stabilito da Odino in persona, con cui vengono addestrati i guerrieri della mia tribù.
Quella dannata creatura mi faceva sentire debole, indeciso, confuso ed intimorito tutto insieme.
Infilai la mano in tasca per superare il momento di imbarazzo e le porsi uno scatolino di legno, intagliato da me, che naturalmente lei non degnò di uno sguardo.
Ma avevo ripreso il controllo di me stesso, e potei proseguire.
- Non morde, Alyssa, è solo un unguento, lo prepara mia madre. So che sei una guaritrice, ma mia madre ha avuto tre figli maschi ed è piuttosto esperta nel rimettere in sesto una faccia presa a pugni.
Ancora nessuna reazione, ne movimento, ne guizzo nello sguardo da parte sua.
Avrebbe potuto essere una statua.
Muovendomi molto lentamente, non saprei dire se per non spaventarla o per non provocare una reazione violenta, mi avvicinai ulteriormente a lei e aprii la scatoletta.
Immersi due dita nell'unguento, molto cautamente e delicatamente stesi il braccio fino al suo viso e lo spalmai piano sul suo zigomo gonfio.
La sensazione della sua pelle sotto i miei polpastrelli mi diede un leggero formicolio e, che Thor mi maledicesse, uno spasmo poco gradito al basso ventre.
Fui ripagato da un leggerissimo allargarsi dei suoi occhi, ma niente di più.
Finii, richiusi lo scatolino, lo lanciai noncurante sulla piccola catasta di legna che aveva raccolto perchè lo portasse al suo giaciglio.
Ero certo che non mi avrebbe dato la soddisfazione di ringraziarmi, ma altrettanto sicuro che ne avrebbe apprezzato gli effetti, e che non le sarebbe dispiaciuto farne ancora uso, almeno per il prossimo paio di giorni.
Stavo per andarmene, quando finalmente un filo di voce uscì dalla sua gola
- Io non ti appartengo - disse sibilando
- No, chiaramente no - risposi secco.

Mi voltai e me ne andai, furioso con lei, con me stesso, con la mia debolezza, con la maledetta guerra che l'aveva portata a Kilkie, con tutti gli Dei e con tutti gli uomini che conoscevo o avrei conosciuto in futuro. Mi misi quasi a correre e coprii a grandi passi la poca strada che mi separava dal bordello, sperando di trovare oblio, o quantomeno sollievo.

2 commenti:

  1. Questo racconto mi appassiona, spero che tu pubblichi presto il seguito... Scrivi davvero bene Puff...

    Maira

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