giovedì 14 luglio 2016

DIALOGHI IMMAGINARI. STAGIONE 5, EPISODIO 1 #esticazzi

Lo vidi venire verso la mia scrivania lungo il corridoio a passo di marcia.
Impeccabile come sempre nel suo completo grigio, senza un capello fuori di posto.
Abbassai il viso come se fossi concentrata sul foglio che avevo davanti, ma lo sbirciai con la coda dell'occhio. Cristo, detesto non riuscire a imperdirmi di guardarlo. Fino a pochi giorni fa non lo avrei considerato possibile.

C'era qualcosa di stonato, nel suo portamento, qualcosa di insolito che faticai a mettere a fuoco. Cosa peraltro incredibile visto il mio livello di conoscenza del soggetto. Eppure...
Percepii, più che vedere, Louis che alzava la testa dietro il vetro del suo ufficio, e lo guardava con fare circospetto. Di per se, questo non significherebbe niente: Louis guarda tutti con fare circospetto. Ma stavolta capii che anche lui aveva notato una stonatura.
In preda alla curiosità assunsi la mia più tipica espressione "sei un'inutile piccolo ed insiginficante mitile, e non meriti nemmeno che io riconosca la tua mera presenza" e quando fui sicura che tutti i muscoli della mia faccia avrebbero fatto il proprio dovere, lo guardai apertamntne.
Del resto ormai lo stavano guardando tutti, decisamente aveva qualcosa di strano.
Lo capii un istante dopo averlo fissato: era l'espressione del viso. Aveva una strana aria di urgenza, ma non era esattamente preoccupato... c'era come una nota di esaltazione, nel suo sguardo, una sorta di prefigurazione. Come se si stesse precipitando da Jessica a gongolare per uno dei suoi straordinari
successi, solo per il piacere di farsi dire quanto era stato in gamba. Maledetto presuntuoso.  Tranne che non aveva cause importanti in corso, e comunque nessuna che dovesse concludersi quella mattina. Come lo so? Oh andiamo, lo sapete. Sono la migliore. Io so tutto, cambiare scrivania non modifica questo semplice dato di fatto.

Come volevasi dimostrare, non stava affatto andando da Jessica. Si fermò alla mia scrivania, indirizzò un breve cenno di saluto a Louis che lo guardava ora con aperto sospetto, poi si degnò di rivolgermi la sua attenzione.
- Vieni con me - mi disse autoritario, senza perder tempo coi saluti.
- Buongiorno, Harvey. Mi spiace ma ora non posso, devo finire di..
- Vieni con me, ho detto - insisté.
Sospirai e lo guardai, sfortunatamente dal basso essendo seduta e lui in piedi, come si guarda un bambino capriccioso, e mi disposi pazientemente a spiegargli che no, non sarei scattata sull'attenti ad ogni suo cenno, non più.
- Come ti stavo dicendo - sorrisi cordiale resistendo all'impulso di alzarmi per fronteggiarlo faccia a faccia - al momento sono piuttosto impegnata.
Lui mi fulminò con il suo sguardo assassino,  quello che normalmente riserva al procuratore distrettuale e a qualche selezionato giudice, poi girò dietro la mia scrivania e mi prese per un braccio, non troppo gentilmente. Inconcepibile.
- Alza immediatamente il dannato culo che ti ho salvato solo la scorsa settimana e vieni subito con me. Devo farti vedere una cosa.
Il... dannato... culo? Stiamo scherzando! Cosa diavolo gli era preso stamattina?

Nel frattempo, Louis si era alzato dalla scrivania e ci guardava torvo. Sapevo che aveva il timore - beh trattandosi di Louis era più una sorta di panico cieco -  che prima o poi Harvey sarebbe venuto a reclamarmi, ma gli avevo assicurato che non glie lo avrei lasciato fare. Ero sincera mentre lo dicevo
ma ora, con la sua mano addosso, le mie certezze sembravano un po' meno certe. Maledizione. Quando avevo smesso di essere me ed ero diventata una donnicciola in balia degli ormoni?
Ad ogni modo guardai Louis con fare significativo e gli feci cenno con la mano di stare calmo. Sarei andata con Harvey, perchè ormai ero tremendamente curiosa, ma qualsiasi pensasse di dovermi  mostrare con tanta urgenza,  non avrebbe cambiato nessuna delle mie recenti risoluzioni.
Di sicuro, non quella di non lavorare più con lui.
Era stata una decisione d'impulso, ma era stata comunque buona.
Naturalmente, avevo detto a me stessa che, date le circostanze, non potevo più stare tutto il giorno seduta davanti a lui fingendo che quella sera non fosse mai esistita e quelle parole non fossero mai state scambiate... qualunque cosa lui intendesse pronunciandole, il che naturalmente non era affatto chiaro. Ma la verità era che, date le circostanze, il mio primo e più irrazionale pensiero era stato: se non lavoreremo più insieme....
E anche questo era motivo di rabbia verso me stessa. Mi maledissi per la terza volta in 3 minuti scarsi. Decisamente Harvey Specter tira fuori il meglio, dalle persone.


Mi alzai e strattonai il braccio sibilando un "levami le mani di dosso" tra in denti in modo che mi sentisse solo lui, ma chiaramente.
Mollò la presa e si fece di lato, invitandomi a uscire dalla mia postazione. Si mise al mio fianco, e mi poggiò delicato una mano sulla schiena, per dirigermi verso la sua misteriosa meta, dicendo soltanto "andiamo".
Camminamno così, in silenzio, fino in fondo al corridoio, ed io rimasi per tutto il tempo estremamente consapevole della sua mano in fondo alla mia schiena, leggermente premuta in una zona che i miei vertiginosi tacchi facevano oscillare elegantemente ad ogni passo. Non avevo ancora
deciso se esserne imbarazzata, infuriata o compiaciuta, quando mi fece svoltare verso la biblioteca.


Ci fermammo sulla porta. L'ambiente era ovviametne molto silenzionso e sembrava deserto. Mi spinse leggermente avanti perchè guardassi dentro, con un cenno della mano come a dire: Ta-dààààà. Rassegnata ad avere una mattinata insolita, sbirciai cauta all'interno della sala.
Gli scaffali erano ancora in piedi, tutti i tomi erano al proprio posto. Le luci erano accese, i vetri delle finestre non erano infranti e le tende non erano strappate. Non vidi invasioni di formiche, scarafaggi o topi zampettare sul pavimento, che era pulito e lucido come sempre. Le scrivanie erano tutte regolarmente al loro posto e non c'erano cadaveri o altre misteriose stranezze in vista.. Lo guardai, molto più che perplessa.
Lui mi incoraggiò con un sorriso. "Guarda" mi disse, indicandomi il punto su cui si aspettava che puntassi la mia attenzione.

Mike e Rachel stavano lavorando a uno dei casi di Harvey, seduti uno di fronte all'altro. Mike aveva l'aria stanca, la camicia spiegazzata e la cravatta allentata, dal che dedussi che probabilmente non era andato a casa la sera prima. Rachel sembrava più fresca, probabilmente aveva dormito qualche ora, ma anche lei indossava gli stessi abiti del giorno prima. Avevano fatto nottata. Li guardai un istante poi mi rivolsi nuovamente ad Harvey
- Mike e Rachel? - chiesi - Che cosa significa, li vedo tutti i giorni da almeno un anno. Cosa ci facciamo qui Harvey?
Lui mi guardò esasperato.
- Guarda meglio, Donna. Guardali.
Li guardai meglio. Lavoravano, come sempre, non capivo proprio dove voleva arrivare. Mentre li fissavo, sperando che non ci vedessero perchè non avrei davvero saputo come spiegarlo, Mike si alzò per andare a prendere una tazza di caffè. Passando accanto a Rachel si chinò e le posò un piccolo bacio delicato sulle.... OH!
Spalancai gli occhi, comprendendo in quel momento cosa aveva voluto farmi vedere.
- Visto? - mi chiese - E' possibile.
Avevo visto. Lo guardai scioccata, senza proferire parola
E a quel punto, successe l'impensabile.

Si avvicinò a me, si avvicinò molto, mi prese entrambe le mani e mi spinse contro lo stipite della porta, quasi appoggiandomisi addosso. Sentivo i contorni del suo corpo sfiorare il mio, e mi feci più indietro possibile perchè quello sfioramento non diventasse osceno. Era talmente vicino che potevo sentire il profumo del suo dopobarba nelle pieghe del collo. Mi guardava fisso negli occhi, impassibile, senza batter ciglio, e mi parlò sottovoce continuando a tenermi ferma con il suo corpo e con il suo sguardo. Nel complesso, probabilmente sembravo un topolino ipnotizzato dagli occhi di un cobra un attimo prima di essere mangiato vivo ed intero. Intendeva forse mangiarmi? Considerai per un momento la possibilità e non la trovai del tutto ripugnante.
- Ora ti spiego esattamente quello che succederà nei prossimi minuti - disse. - Questa ridicola situazione finirà. Immediatamente. Andrai alla tua scrivania provvisoria e prenderai tutte le tue cose
Il tono beffardo con cui pronunciò la parola "provvisoria" non mi sfuggì minimamente, ne lui pensava mi sarebbe sfuggito. - Dopodiché, tornerai al tuo posto.
Recuperai un minimo di lucidità, a fatica.
- Ma davvero. E tu credi di sapere quale è il mio posto? Sei piuttosto presuntuoso - rimarcai ostinata. Se pensava che glie l'avrei resa facile, si sbagliava di grosso.
- Certo che lo so. Il tuo posto, Donna, è accanto a me - rispose con calma - Perchè noi siamo una grande squadra, siamo una squadra vincente. Dentro.. - esitò per un momento - ... e fuori da questo ufficio.
Coprì la distanza dei pochi centimetri che ci separavano, e mi baciò con una sorta di violenza trattenuta, stritolandomi dolorosamente le mani che ancora teneva, come per rendermi chiaro cosa intendesse con quel "fuori". I miei occhi erano ancora spalancati, in preda ad uno stupore incredulo, e grazie a questo potei vederne chiaramente l'espressione del volto. Ostinazione. Convinzione. Desiderio. Passione. Una briciola di incredulità, forse, come se nemmeno lui potesse capacitarsi delle proprie azioni. Io senz'altro non mi capacitavo. O almeno non mi sarei capacitata se fossi stata in grado di pensare razionalmente, ed in quel momento decisamente non lo ero.
Ma la cosa più sconvolgente fu rendermi conto della totale mancanza di privacy che stavamo sperimentando. Tutto questo stava succedendo alla piena luce del giorno, nel bel mezzo dell'ufficio, davanti a persone che andavano e venivano continuamente. Nessun sotterfugio, nessun segreto. Apertamente. Forse fu questo, più di tutto,  a convincermi.
Si staccò da me, mi lasciò le mani e fece un passo indietro, guardandomi in attesa di una risposta. Non sembrava particolarmente ansioso di riceverla, comunque.  Come sempre. Harvey Specter non pone domande di cui non conosce già le risposte. E la mia la conosceva probabilmente da circa 6 anni.
Mi ricomposi, lisciai con sussiego le pieghe del vestito ed inarcai un sopracciglio
- Louis? - chiesi
- Sistemato.
- Voglio un aumento.
- Concesso
- E un bonus.
- Nessun problema.
- E ci saranno fiori freschi sulla mia scrivania, ogni lunedì e giovedì
- Fatto.
- E sushi a pranzo ogni venerdì
- Quello che vuoi.
Avevo esaurito le richieste, e a quanto pare non restava altro da dire.
Il suo smagliante sorriso non si era minimamente scomposto.
- Molto bene, allora - dissi dignitosamente, col sopracciglio sempre inarcato - Mettiamoci al lavoro.
Mi guardò trionfante.
- Molto bene - ribadì - dopo di te.
E mi cedette il passo.

Mi incamminai verso la mia futura ex scrivania, girando solo leggermente lo sguardo indietro, giusto quel tanto da vedere Mike e Rachel pietrificati al loro tavolo, che ci guardavano con la bocca spalancata.

2 commenti:

  1. Waw!!!
    Coinvolgente e descrizioni dettagliate. Tu devi fare la scrittrice.

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