Nei giorni seguenti devo ammettere che le cose non migliorarono. Io continuavo ad essere ossessionato da Alyssa, lei continuava a guardarmi come se non desiderasse altro che vedermi appeso per i piedi, scorticato e immerso nel sale. Ad onor del vero, guardava tutti in quel modo, non soltanto me, da quel punto di vista non ero un privilegiato. Faceva quanto le veniva richiesto chiusa in un ostinato mutismo, teneva un comportamento sorprendentemente ineccepibile, viste le sue attitudini, ma nel complesso sembrava una specie di fantoccio da cui fosse stato risucchiato lo spirito. Si muoveva, mangiava, lavorava, ma non sembrava essere davvero presente. Dopo alcune settimane, il suo sguardo così penetrante e bellicoso, stava lentamente lasciando il posto a una espressione disinteressata, distante, rassegnata, che mi faceva sentire come se una grossa mano di metallo mi stringesse violentemente lo stomaco. Si rianimava soltanto quando discorreva con Viki. Forse erano sorelle, che stupido: non mi era mai venuto in mente di chiederglielo.
Viki al contrario sembrava aver superato il trauma della prigionia ed era diventata una ragazza socievole ed estremamente benvoluta. Aveva cominciato col pettinare le bambine del villaggio, ma ben presto la sua maestria era stata di dominio pubblico, ed ormai non era raro che anche le donne adulte la mandassero a chiamare per una acconciatura particolare. Io non usufruivo quasi mai del suo lavoro, tranne quando le chiedevo di lavare i miei vestiti, ed ero ben contento che avesse trovato una occupazione che le piacesse. Spesso mi salutava con entusiasmo quando passavo vicino alla casa degli schiavi, sorridendo, ed avevo visto Alyssa guardarla con disapprovazione in queste circostanze.
La costruzione della palizzata era cominciata, gli uomini al mio comando lavoravano pesantemente e senza sosta, ed io con loro. Avevamo abbattuto diversi tronchi della giusta dimensione, e ora una parte di noi era impegnata ad appuntirli mentre un'altra parte scavava un fossato attorno al villaggio, dove interrarli perchè stessero dritti e minacciosi in direzione del nemico in arrivo.
Dal canto mio, dopo aver abbattuto alberi e scavato fossati per tutta la giornata, la sera riuscivo anche a trovare il tempo di prendere in mano il mio coltello da intaglio. Fino a quando la temperatura fosse stata mite, avrei intagliato all'aperto, seduto davanti alla mia casa oppure sulla riva del fiume. C'era luce fino a tardi, in quel periodo dell'anno. La mia mente si stava acquietando, via via che la mia mano prendeva di nuovo confidenza con le venature e coi nodi del legno, e sebbene stessimo costruendo palizzate difensive, la guerra sembrava lontana, come appartenente ad un'altra vita. Avevo pensato di intagliare un fregio, da mettere sopra il portone che avrebbe sigillato le nostre nuove difese. Qualcosa di eroico, come il Padre Odino con la sua spada sguainata o Thor che scatena il fulmine? O di terrificante come Miðgarðsormr figlio di Loki?
Nel quartiere degli schiavi c'era sempre un gran viavai di persone, anche di sera. Lo avevo notato spesso, stando sulla riva del fiume. Non era raro che alle schiave più avvenenti venissero richieste prestazioni sessuali, alle quali molto spesso non potevano sottrarsi. La maggior parte degli uomini approfittava volentieri dell'occasione di avere gratuitamente quello per cui normalmente avrebbero dovuto pagare al locale bordello, e soprassedevano generosamente sul fatto che la donna che portavano a letto non fosse una professionista del mestiere. Avevo visto Gunther e quasi tutti i guerrieri invitarne una, o a volte più di una, nel proprio capanno, anche se forse invitare non è il termine più adatto. Persino Floki ogni tanto aveva frequentato qualche schiava, e mi divertiva constatare come le sue preferenze andassero non ai giovani fiori dalla pelle immaccolata, ma piuttosto alle corpulente matrone dotate di forme prosperose. Forse i gusti cambiano con l'età, pensavo divertito. Io ero tra i pochissimi uomini, e l'unico guerriero, a non aver mai utilizzato tale possibilità, che trovavo in cuor mio assai poco onorevole. Una prostituta sceglie la sua professione, che è onorata ed onorevole presso la mia gente, e ha sempre la possiblità di rifiutare un cliente, se questo si presenta ubriaco o si mostra violento. Possiede di solito almeno un coltello, che nasconde di norma sotto il corpetto, e non si fa scrupolo di usarlo, all'occorrenza. Una schiava invece non ha nessuna scelta, è costretta ad accettare qualunque tipo di approccio. Non era raro vederne qualcuna ritornare con un occhio nero o qualche livido addosso, la mattina. Inoltre, dovendo semplicemente sfogare una necessità fisica, preferivo di gran lunga pagare per il servizio che richiedevo perchè non ci fossero equivoci, o fraintendimenti sulle mie intenzioni. Si trattava di una semplice trnsazione di affari, l'acquisto di un bene che mi occorreva da qualcuno che ne possedeva in abbondanza, allo stesso modo in cui avrei acquistato delle mele al mercato. Non era considerato svilente per le nostre donne dedicarsi alla prostituzione, perchè una prostituta provvede al benessere comune non meno di un cuoco, o di un cacciatore, assicurando in tempo di pace la tranquillità degli uomini, anche dei più turbolenti. Avevo conosciuto popoli, oltre il mare, presso i quali invece le prostitute erano reiette, svilite e immorali. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a trovare nessuna ragione per la quale una cosa tanto piacevole ed utile potesse essere immorale, e davo la colpa all'inciviltà di quelle genti arretrate che adoravano un solo Dio.
Al contrario delle professioniste, alcune schiave, specialmente le più giovani e belle, si illudevano di innalzare la propria condizione se non sposando, almeno diventando ufficialmente le amanti di qualche uomo ricco, e si concedevano inizialmente con entusiasmo e voluttà. Le loro illusioni venivano però ben presto spezzate: un nemico catturato non è una persona onorevole con cui mischiare il proprio seme, e una schiava, per quanto bella e disponibile, appartiene pur sempre a questa categoria. A parte il rischio di generare una discendenza indebolita, il problema principale era naturalmente il sangue: era poco probabile che prevalesse quello della madre, ma se fosse successo il figlio sarebbe cresciuto come un nemico e si sarebbe rivoltato contro il padre non appena avesse avuto l'età di impugnare una spada. Non potevamo rischiare di allevare serpi nel cuore della nostra nazione. E così, poco alla volta lo sguardo di quelle schiave assumeva quella sfumatura devastata e assente che caratterizza le donne stuprate.
Se potevo tollerare a malapena la rassegnazione di Alyssa, ero certo che non avrei potuto sopportare questo nei suoi occhi.
Dopo circa un mese e mezzo dal nostro rientro una sera mi stavo recando come al solito a intagliare il mio fregio in riva al fiume. Ero passato, senza guardarmi troppo in giro, accanto alla dimora degli schiavi ed avevo raggiunto il mio posto abituale, una grossa pietra levigata doveva essere stata conficcata nella terra da Mjöllnir stesso, a giudicare dalla fatica che avevo fatto per spostarlo nella posizione che preferivo. Mentre mi avvicinavo, notai Alyssa che passeggiava nei pressi. Mi bloccai per un attimo incerto se proseguire ma poi scrollai risolutamente le spalle. Cosa stavo facendo, lasciando che una schiava mi distogliesse dalle mie abitudini e dal mio lavoro? Nelle settimane precedenti ero riuscito con successo a liberarmi da parte della fascnazione per lei, mantenendo soltanto quello che speravo fosse un generico interesse per il benessere della mia proprietà, ma bisogna dire che mi ero tenuto alla larga dal quartiere dei servi e non l'avevo quasi vista. Trovarmela inaspettatamente davanti, del tutto impreparato alla sua apparizione, mi lasciava sgomento come non avrei immaginato. Alla stregua di un ubriacone che dopo giorni di astinenza si trovasse improvvisamente davanti a un boccale della miglior birra scura, mi tremavano le mani e mi si seccava la bocca. Tuttavia procedetti, perchè per nulla al mondo mi sarei lasciato governare da una donna. Con passi lunghi e rumorosi sui ciottoli di fiume, raggiunsi la mia meta e mi sedetti, senza guardarla direttametne, cominciando immediatamente il mio lavoro di coltello.
Dopo pochi istanti mi si avvicinò. La vidi, con la coda dell'occhio, fermarsi a pochi passi dalla pietra e guardarmi con aria interrogativa, attendendo che io mi accorgessi di lei, ma non le diedi la soddisfazione di alzare lo sguardo. Dopo un attimo si sedette, anche senza il mio permesso.
- E così... Urlo di Thor, eh? - esordì. - Che appellativo interessante. Da cosa deriva?
Terminai l'intaglio che stavo eseguendo poi la guardai.
- Perchè vuoi saperlo? - chiesi duro.
- Oh... - interloquì spiazzata - non saprei. Era solo per fare conversazione.
Fare conversazione. Così, ora voleva fare conversazione. Ebbi un fremito ma non potrei dire con certezza se fosse rabbia, o eccitazione. Probabilmente una mescolanza di entrambi. Vorrei poter dire che riportai la mia attenzione sul mio lavoro senza degnarla di ulteriore attenzione ma la verità è che ero estremamente consapevole della sua vicinanza e mi formicolava la pelle dal desiderio di toccarla. Maledetta lei, e maledetto anche io, omuncolo debole e volubile!
- Sono l' Urlo di Thor perchè chiamo la carica quando entriamo in battaglia - risposi - e anche perchè... - esitai
- Perchè... ? - mi incoraggiò
Era saggio raccontarle fatti privati della mia vita, al primo accenno di cortesia da parte sua? Probabilmente no. Tuttavia non potei impedirmi di proseguire.
- C'è una storia che mi riguarda, che risale a molti anni fa. Durante una battaglia, per una stupida leggerezza, persi indecorosamente la mia spada. Ero giovane, inesperto e molto arrogante. Mi trovai disarmato in mezzo alla mischia, e stavo per essere soprafatto e ucciso senza un'arma in pugno, con disonore, quando mi accorsi che c'ra una grossa mazza ai miei piedi, e la raccolsi. Cominciai a mulinarla attorno a me, ululando come il vento del nord, e per un momento tutti si bloccarono a guardarmi, esterrefatti. Approfittai di quell'attimo di confusione per sfondare il cranio del nemico più vicino a me, e mi salvai la vita. L'indovino disse che ero un favorito di Thor, che era stato lui a farmi trovare il martello perchè non morissi disarmato ricoprendomi di vergogna. Disse che era stata l'intercessione di mio padre. Così da allora, porto sempre quel martello con me in battaglia.
- Oh, quindi tuo padre è nel Valhalla?
- Si, da molti anni.
Fece un minuscolo, ma ben distinguibile, sorriso di comprensione, e proseguì.
- Tra molte genti, chiamare la carica in battaglia è segno di grande distinzione.
- Si, anche tra la mia.
- Quindi sei un guerriero valoroso?
- Valoroso? - ero incerto su cosa dirle. L'accenno al cranio spappolato con la mazza le aveva strappato una smorfia di disgusto, capivo che come guaritrice il suo compito fosse tenere dentro i corpi quel sangue che io come guerriero cercavo invece di far uscire. Cosa potevo dirle? Cosa poteva considerare valore una donna strappata alla sua casa e ai suoi affetti per essere condotta in un paese straniero in schiavitù? E perchè, in nome di Odino, mi interessava tanto dirle qualcosa che mi facesse apparire migliore ai suoi occhi?
- Credo che la mia gente mi consideri valoroso - dissi infine cauto. - Il mio popolo onora la saggezza ed il coraggio, in questo ordine, ed io vengo subito dopo Floki nella gerarchia della guerra. Floki è il guerriero più anziano che si ricordi, credo che abbia visto oltre 60 primavere.
- La sua esperienza deve essere vasta come quella di Odino... - interloquì Alyssa in tono canzonatorio
- Perchè dici questo? Ha combattuto centinaia di battaglie ed è sempre tornato illeso, o quasi. E' intelligente e capace, ha coraggio e non mostra paura o incertezza. Ha riportato a casa molti guerrieri più giovani di lui, che hanno potuto riabbracciare i loro affetti solo perchè lui li ha difesi. Io stesso sarei morto una dozzina di volte se non fosse stato per lui. Non dovresti giudicare tanto in fretta Alyssa.
Mi ero infervorato parlando di Floki, perchè nutrivo per lui un rispetto inferiore solo a quello che avevo per mio padre. Lei accusò il colpo della mia accusa finale e mi guardò, mi parve, con un certo interesse.
- Quindi è questo che tu giudichi valore? Uccidere molti nemici? Sfondare teste con la mazza?
Non mi aspettavo questa domanda, o meglio: non mi aspettavo che proseguisse a domandarmi cose di me che consideravo piuttosto intime. Ne ero in parte lieto, ma mi trovavo davanti a un bivio. Dovevo risponderle quello che si aspettava di sentire, quello che tutti si sarebbero aspettati di sentire da me? Che la guerra era il più alto onore, che sarei morto con la spada in pugno e avrei banchettato con gli Dei? O dovevo dirle quello che pensavo realmente? Cosa avrebbe pensato mio padre, se avessi dato voce ai miei veri pensieri? Lo avrei disonorato? Lo avrebbero deriso, là nella sala dei banchetti del Valhalla, per aver generato un figlio indegno e debole? Ma dopotutto lui era morto, no? Probabilmente poteva vedere dentro il mio cuore, e lo sapeva già. Avrei fatto qualunque cosa per non deludere mio padre, vivo o morto che fosse, ma li, seduto su quella pietra, con gli occhi penetranti di Alyssa addosso, per la prima volta desiderai poter essre realmente e completamente sincero con un altro essere umano.
- Non è così semplice - risposi. - Io sono nato in una nazione in guerra e non c'è mai stata la pace, da quando ho memoria. Tutta la nostra vita gira intorno alla necessità di combattere. Se i guerrieri non combattessero, gli altri, gli artigiani, i contadini, le madri coi loro figli piccoli... tutti loro morirebbero. Il mio popolo esiste grazie ai guerrieri che lo difendono. E far parte dei difensori, si, lo considero un grande onore. E sono grato al Padre Odino e a Suo figlio Thor che mi abbiano concesso la capacità di svolgere questo compito con coraggio in ogni circostanza. Combattere è il mio dovere, e continuerò a farlo. Tuttavia.... - esitai cercando le parole - tuttavia, molti di noi provano una sorta di esaltazione per il sangue e la battaglia, si sentono completi e degni solo stroncando quante più vite possono. Sono nemici, questo pensano, le loro vite non valgono quanto le nostre. Io non sono tra questi. Io uccido per necessità, non per piacere. E lo evito, se posso. Io mi sento completo così - allungai le mani dove tenevo legno e coltellino - creando qualcosa di bello con le mie mani. Sentendo il legno che prende vita sotto le mie dita, vedendolo cambiare, modellarsi sotto il mio tocco, assumere una forma che non è mai esattamente quella che ho in mente, perchè il legno ha una sua vita, una sua volontà, e decide cosa diventare tanto quanto lo decido io. E' un dialogo - dissi sorridendo, ormai immerso nella tranquillità che l'intaglio mi trasmetteva - un dialogo tra me e il legno.
- E tuttavia - intervenne - stai costruendo armi. Pali appuntiti che si conficcheranno nel petto di qualcuno.
- Non sono armi e il loro scopo non è uccidere. Al contrario. Spero di riuscire a renderle talmente terrificanti - sorrisi di nuovo guardando il fregio che stavo intagliando - da indurre qualunque nemico a tenersene alla larga. Più timore riuscirò ad incutere, meno probabile sarà un attacco. E se nessuno ci attaccherà, nessuno morirà, no?
Mi guardò esterrefatta.
- Davvero è questo lo scopo? - chiese
- No. Non quello del Re. Però è il
mio scopo. E' quanto posso fare per cercare di porare la pace ad un popolo di gurerrieri.
Restammo qualche minuto in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri.
Aver dicharato apertamente quello che realmente desideravo mi dava una sensazione di pace che non avevo mai provato. Mi sentivo leggero e sereno, come se da un momento all'altro avessi dovuto librarmi nel cielo con l'aquila e sorvolare il mondo libero da preoccupazioni e doveri. Era una sensazione magnifica, e me la godetti fino in fondo, prima di ricominciare a parlare con Alyssa. Il fatto che stesse seduta accanto a me da ormai divrerso tempo senza aver dato segno di desiderare staccarmi un orecchio a morsi mi pareva un segnale molto incoraggiante, e non volevo sprecare l'occasione di conoscerla un po' meglio.
- E tu? - chiesi quindi - C'è qualcuno che... che prega per il tuo ritorno, a Lokturn?
Alyssa scosse la testa.
- No. Io non sono di Lokturn. Nella mia famiglia siamo guaritori itineranti, ci spostiamo col nostro carro da un villaggio all'altro e prestiamo il nostro aiuto a chi ne ha bisogno, in cambio di cibo e riparo. Ci fermiamo a lungo in un luogo soltanto se il clima ci impedisce di viaggiare. Quando siete arrivati, eravamo a Lokturn da pochi giorni.
- I tuoi famigliari non sono stati catturati - notai - pensi che verranno a cercare di riscattarti? - persino io sentii una punta di apprensione nella mia voce, sperai che lei non lo avesse notata.
Con mia sorpresa, Alyssa si lasciò andare ad una risata amara
- Mio padre lo avrebbe fatto. Avrebbe dato qualunque cosa per riavermi con se. Ma mio padre è morto, due inverni fa, contagiato da una febbre maligna che stavamo cercando di curare in alcuni contadini, a circa 10 giorni di cammino da qui. Ora il capofamiglia è mio fratello. Il mio fratellastro, dovrei dire. Se lo conosco appena un po', avrà girato il carro nella direzione opposta a quella presa da noi, e a quest'ora starà ancora correndo il più velocemente possibile.
- E' saggio mettere distanza tra la propria famiglia e il pericolo - osservai cautamente
- Di certo è quello che starà dicendo a se stesso - rispose lei tagliente - ma la verità è che non siamo mai andati daccordo, e non mi ha mai considerata davvero sua sorella. Mia madre era la seconda moglie, la prima moglie di mio padre è morta di parto. Eivind ha imposto la sua guida alla famiglia per il fatto di essere maschio, ma tutti sapevano che mio padre aveva scelto me come suo successore. Sono una guaritrice migliore di lui, di Eivind voglio dire, non di mio padre, e onestamente sono dotata di maggior buon senso. Ma nessuno ha avuto la forza di opporsi quando ha preso il comando. Ne mia madre, ne mio zio. Le mie sorelle sono troppo piccole. Solo io ho cercato di tenergli testa, e fare la volontà di mio padre. Tra noi erano scontri continui. Quando mi avete presa, posso solo immaginare che abbia colto l'occasione di liberarsi di me senza doversi macchiare dell'omicidio di un parente. Sono certa che prima o poi avrebbe cercato di uccidermi nel sonno.
Le sue parole mi dispiacquero molto, io ero cresciuto con genitori amorevoli e non avevo mai avuto contrasti coi miei fratelli, fatta eccezione per quei banali litigi così comuni tra ragazzi. Essi avevano accettato la mia guida, in quanto maschio più anziano rimasto era l'ordine naturale delle cose, ma io non avevo mai cercato di sostituirmi a mio padre, ne tantomeno avevo pensato di comandare mia madre. Linn era una donna fiera ed indipendente, lo era sempre stata, anche quando mio padre era in vita. Aveva combattuto con lui prima che io nascessi e sapevo che mio padre teneva nella massima considerazione la sua saggezza ed il suo consiglio, ed io facevo lo stesso. Senza contare che se avessi cercato di fare l'arrogante, mi avrebbe preso a bastonate sulla schiena fino a spezzarmela! Capii dal suo racconto perchè Alyssa fosse rimasta così impressionata quando le avevo detto che aveva le caratteristiche di un capo: avrebbe dovuto esserlo, ma non le era stato consentito. Poteva forse essere questa la chiave che l'avrebbe portata ad accettare la sua nuova situazione? Dopotutto il mio popolo non disprezza le donne forti.
- Mi dispiace, Alyssa, non deve essere stato facile - dissi sincero. - Tuttavia non puoi non aver considerato che se lui si è liberato di te, anche tu sei libera, ora.
Pessima scelta di parole. Alyssa inarcò un sopracciglio.
- Libera, Urlo di Thor? Ah si? Sono libera? - il suo tono si fece più alto
- No... Si... No. Quello che intendo è che non sei libera di andartene, ma qui puoi essere quello che realmente sei.
- Ma davvero! - si stava rapidamente arrabbiando - E come posso essere ciò che sono con le gambe sempre trattenute da lacci che non mi permettono di correre? Una serva, ecco quello che posso essere qui. Niente altro. Una donna privata della sua volontà e dignità, a disposizione di chi la cerca, senza alcuna possibilità di scegliere. Ecco quello che sono, per la tua gente. Posso fare qualcosa per te, padrone? Scopo della mia vita è servirti - disse tagliente.
- Tu non sei questo per me - dissi a voce molto bassa - Hai detto che non mi appartieni, e io ti ho risposto che è vero. Non ho alcun interesse a costringerti a essere mia nè a possederti contro la tua volontà - mi domandai se coglieva il doppio significato di quanto le stavo dicendo - Tuttavia è vero: sei una prigioniera ed è qui che devi stare. Ci sono regole che devi rispettare, i lacci alle caviglie ne fanno parte. Ma credo che tu abbia la possibilità di rendere la tua vita con noi molto utile, e forse persino gratificante. Credo davvero che dovresti trovare dentro di te l'umiltà e la serenità per farlo.
Così dicendo, saltai giù dalla roccia agilmente e infilai il coltellino nella tasca dei pantaloni. Mi voltai solo per farle un cenno di saluto con la testa e mi incamminai verso casa mia, esultante per il tempo trascorso con lei e scosso per il suo brusco interrompersi. Dopo un attimo mi raggiunse e mi toccò una spalla.
- Tu sei diverso dagli altri uomini - disse - ti devo delle scuse, Erik l'intagliatore. Ti ho giudicato male.