mercoledì 14 settembre 2016

DIALOGHI IMMAGINARI - GENTE DEL NORD ( UNO)

Notai il suo sguardo la prima volta che mi avvicinai a lei con una tazza d'acqua.
Era una giornata calda e sebbene il sole non filtrasse attraverso le foglie degli alti alberi, l'aria era pesante, umida, difficile da respirare.
Il terreno morbido del sottobosco era scivoloso e infido, e gli insetti ronzavano incessantemente intorno alle nostre teste. Lei e gli altri prigionieri, o meglio schiavi, procedevano lentamente, legati gli uni agli altri, con corde salde anche alle caviglie, per maggior sicurezza. La maggior parte di loro era a piedi nudi, e sanguinava, tutti indossavano pochi abiti ormai laceri, quelli con i quali erano stati catturati.  Non era stato loro permesso prendere nulla dalle loro case prima della deportazione. Il viaggio era lungo, eravamo in cammino nella scura foresta di Broch da ormai 6 giorni e ce ne attendevano almeno altrettanti prima di arrivare alla capitale, Kilkie. Noi guerrieri procedevamo a cavallo, ma naturalmente i prigionieri non potevano che marciare, cercando di tenere il passo con le nostre cavalcature. Le risorse per il viaggio di ritorno erano scarse, e l'acqua per gli schiavi era poca, per non parlare del cibo. Molti uomini, presi per il fisico imponente e destinati ai lavori pesanti, erano già stati spezzati dalla fatica e dalla sete.


Lei no.


Posò gli occhi su di me non appena mi accovacciai per offrirle da bere. La sua espressione diceva chiaramente che mi avrebbe aperto la gola a morsi, se solo glie ne avessi dato la possibilità.
L'ammirai, per questo.
Con un gesto repentino della mano, tuttavia, fece cadere la tazza rovesciando l'acqua. Una mossa piuttosto stupida, date le circostanze, che diminuì, ma di poco, la mia ammirazione. Era evidente che possedeva un carattere deciso e poco incline alla sottomisisone, qualità apprezzabili in un guerriero
ma piuttosto rare in uno schiavo, almeno nella mia esperienza. Reprimendo un sorriso, e il forte desiderio di darle un ceffone, riempii di nuovo la tazza e glie la porsi. Mi guardò con odio puro.
- Hai sterminato il mio villaggio e la mia gente, figlio di un cane rognoso, non accetterò niente da te - ringhiò
- Hai ragione di odiarmi, ragazza. Io lo capisco. Ma qusta è la guerra- risposi calmo.
Posai la tazza per terra accanto ai suoi piedi e mi allontanai, lasciandola a fissarmi sorpresa dalla mia risposta. Immediatamente, vidi Gunther che si avvicinava a lei.
Gunther era un guerriero estremamente coraggioso ma altrettanto sangunario, che conoscevo da quando eravamo bambini: era sempre stato un bastardo. Era una di quelle persone che godono della sofferenza altrui e che uccidono per puro piacere; insetti da bambino, piccoli animali da ragazzo, uomini da adulto. Avrebbe combattuto in ogni caso, anche come mercenario se non avesse avuto la ventura di nascere in una nazione in guerra. Era sempre coperto di sangue, se fosse quello del nemico o il suo stesso non era mai stato chiaro, ma vista la sua passione non potevo escludere che si ferisse
da solo quando non era in battaglia, per il puro piacere divederlo scorrere e di decorare il proprio corpo con esso. Se aveva assistito alla mia breve conversazione con la schiava, aveva sicuramente considerato il suo atteggiamento indomito come un'offesa personale, e altrettanto sicuramente stava cercando il modo di punirla umiliandola, o picchiandola, o entrambe le cose, quel figlio di una cagna in calore. Lo vedevo fremere di aspettativa.


Mi allontanai di poco, per assicurarmi che non esagerasse. Non mi soffermai a domandarmi il motivo di questo riguardo nei confronti di quella schiava. Da dove mi trovavo, non potevo sentire le parole, ma dalla postura e dai gesti, era evidente che lui stava cercando di obbligarla a mettersi a quattro
zampe, per farla lappare dalla tazza come un animale, e lei non aveva alcuna intenzione di farlo.
La scaramuccia era durata pochi minuti ed era terminata quando Gunther, stufo del gioco, l'aveva schiaffeggiata  violentemente, mandandola a finire per terra, per poi sincerarsi che avesse capito la lezione con qualche mirato calcio allo stomaco.
Si era voltato verso di me ghighando - visto come si fa? - e se n'era andato, soddisfatto e con ogni evidenza sessualmente eccitato.

Lasciai passare qualche minuto, e mi avvicinai di nuovo alla schiava. Era raggomitolata in terra, tutta sporca di fango e chiaramente furiosa. La aiutai a sollevarsi - dovetti costringerla ad accettare il mio aiuto -  e per la terza volta, le misi in mano la tazza con l'acqua, senza parlare. Mi guardò con immutato disprezzo, ma l'accettò e bevve. Fu un bene, perchè i giorni seguenti furono caldi e faticosi, e se non avesse bevuto almeno quel poco probabilmente non ce l'avrebbe fatta.


Qualche giorno dopo, la ragazza con lo sguardo feroce inaspettatamente mi si avvicinò durante una sosta dalla faticosa marcia.
- Mio Signore, ti prego - mi disse con voce estremamente bassa - ti prego, acqua.
La guardai sorpreso.
Lei si inginocchiò ai miei piedi tenendo con le mani un lembo del mio mantello
- Ti supplico... padrone - pronunciò quella parola con uno sforzo evidente -  per lei...
Mi voltai, e vidi che indicava la ragazza che era legata davanti a lei nella fila. In verità era poco più di una bambina, avrà avuto undici, dodici anni al massimo, non riuscivo a ricordare se venissero dallo stesso villaggio. Era accasciata a terra, scomposta, e respirava appena. Avevo visto la schiava sorreggerla in diverse occasioni nei giorni precedenti, perchè non ci accorgessimo che non era quasi più in grado di camminare. Sarebbe stata abbandonata nella foresta in balia del lupo e dell'orso,
dei quali sarebbe rapidamente diventata il pasto. Vedendola in quello stato pietoso, non mi feci pregare a lungo - benchè non mi dispiacesse affatto - e presi la borraccia al mio fianco, avvicinandomi alla bambina che bevve quasi tutta la mia scorta personale, per poi tornare ad accasciarsi con un'espressione decisamente sollevata in viso.
Poi passai la borraccia alla schiava, che naturalmente la rifiutò. Sospirai rassegnato. L'orgoglio prima o poi l'avrebbe uccisa, di questo ero praticamente certo. Ma no volevo che accadesse quel giorno.
- Come si chiama? - chiesi, guardando la bambina
- Viki.
- Viki. Bene e tu invece?
La schiava esitò un momento, incerta se rivelarmelo. Dopo un attimo di silenzio, evidentemente dovette decidere che conoscere il suo nome non mi avrebbe dato alcun vantaggio, il giorno in cui mi avesse incontrato con le mani libere per impugnare adeguatamente un'ascia. Il suo sguardo era immutato e trasmetteva una fierezza che avevo visto di rado, anche negli occhi dei guerrieri più esperti.
- Mi chiamo Alyssa - rispose cauta.
Alyssa. Un nome che ricordava le piccole dee dei laghi e delle fonti.
- Daccordo, Alyssa. - la incoraggiai. - Bevi. Chi aiuterà la piccola Viki, se tu stessa non potrai proseguire?
Toccò a lei restare stupita, cosa che non tardò a trasparire dal suo volto. Non aveva previsto che qualcuno la avesse vista aiutare la bambina, e meno che mai poteva capacitarsi che, pur avendola vista, non la avessi denunciata. Di solito i carcerieri non provano compassione per i propri prigionieri. Ad ogni modo, questo parve convincerla, e prese un sorso, riluttante.
Mentre mettevo via la borraccia, mi girai a guardarla. Ero curioso di sapere che aspetto avesse, sotto lo strato di sudiciume dovuto alla battaglia e alla deportazione.
- Alyssa, due giorni fa ti ho vista tenere testa a Gunther nonostante le botte... - dissi impulsivamente.
- Gumther? Dunque è questo il suo nome! - mi interruppe rabbiosa, portandosi istintivamente una mano al viso ancora gonfio - mi sarà utile saperlo, quando raccomanderò il suo spirito a Hella perchè marcisca in eterno nel suo regno! 
Ancora una volta non potei non ammirare il suo coraggio, ed ancora una volta ebbi contemporaneamente l'impulso di colpirla per la sua arroganza.
Trattenni la mia mano e proseguii, senza un motivo preciso, seguendo un pensiero scaturito da chissà dove.
- Si, è questo il suo nome. Non ti sei piegata a lui per salvarti, ma oggi non hai esitato a gettarti in ginocchio ai miei piedi per Viki.
- Allora? - domandò, ancora bellicosa
- Allora niente. Ti ammiro. Tu hai il sangue dei Re nelle vene.
- No, ti sbagli, padrone - disprezzo nella sua voce, stavolta - non sono una regina. Sono una guaritrice - aggiunse, evidentemente considerando che nemmebno questa informazione mi avrebbe aiutato, se mai l'avessi incontrata con un'arma qualunque in mano.
- Non ho detto che sei una regina, ma che in te scorre il sangue degli antichi Re. So riconoscere un capo, quando lo vedo, e tu lo sei. Solo un buon capo, uno davvero buono, agisce con fierezza, ma non esita a umiliarsi per il bene della sua gente. Se l'ho capito io, Alyssa, presto se ne accorgeranno anche loro - indicai i prigionieri - e allora ne diverrai responsabile. Sei pronta ad assumerti questo compito?
Questo sembrò sconvolgerla autenticamente. Rimase immobile a fissarmi con la bocca spalancata per un momento, poi la richiuse e sembrò, anche se solo per un breve istante, considerare le mie parole con serietà.
- Ci sono capi donna tra la tua gente? - mi chiese quindi, con quello che mi parve un genuino interesse
- No, o almeno, nessuna donna nasce capo, indipendentemente da chi è suo padre. Ci sono donne guerriero, però, e alcune guandagnano il diritto al comando grazie al proprio valore.
Alyssa mi guardò, per la prima volta senza astio, mostrando con uno strano misto di terrore ed aspettativa. Sicuramente aveva già compreso di avere questa attitudine. Tuttavia, per quel poco che conoscevo delle usanze del suo popolo, ero piuttosto certo che fosse stata costretta a nasconderla.
Mi voltai e me ne andai, soddisfatto di lasciarla confusa, senza attendere la sua risposta.


Quella notte sognai Alyssa che mi trafiggeva con la mia stessa spada, mentre io mi lasciavo uccidere senza reagire, guardandola impotente ed ammirato. Mi svegliai come da una battaglia sangunosa, senza aver realmente riposato, ma fortunatamente poche ore dopo l'alba giungemmo ai margini della grande foresta, in prossimità del piccolo lago che si trovava a meno di un giorno di cammino da Kilkie. Saremmo stati a casa entro sera.
L'aria era più fresca e limpida e la luce ci inondava finalmente, facendoci bruciare gli occhi dopo i giorni di umidità e di perenne crepuscolo sotto le fronde degli alberi da cui non filtrava quasi raggio di sole. Fu un sollievo per tutti, persino per i cavalli che cominciarono ad agitare la coda eccitati.
Ci accampammo, e agli schiavi fu ordinato di entrare nel lago e ripulirsi accuratamente, oltre che naturalmente di bere a volontà, cose che facemmo tutti con grandissima soddisfazione.
La marcia era costata la vita a quasi la metà dei prigionieri, ed era opportuno che i superstiti apparissero nelle migliori condizioni possibili una volta al cospetto di Re Orrik. Un bottino scarso era una sfortunata circostanza, ma un bottino malandato, di cui non ci si fosse presi debita cura, era un'onta che il Re non avrebbe tollerato. Dopo essermi lavato e ristorato, restai sulla riva a godermi il sole e a sorvegliare il piccolo gruppo di schiavi che si confortava vicendevolmente, con le mani libere per la prima volta da giorni. Tutti si strofinavano via fango e polvere vigorosamente, godendo della frescura e dell'abbondanza di acqua; Alyssa aiutava Viki a lavare i lunghi capelli.
La bambina sembrava essersi quasi del tutto ripresa.


Quando uscì dall'acqua, pulita e rinfrancata, capii all'istante per quale motivo Alyssa fosse stata catturata. Era di una bellezza ineguagliabile. Gli occhi, che naturalmente avevo già notato, erano di un azzurro cupo e prorfondo, come il mare durante una tempesta notturna, ma scintillanti di vita e di intelligenza. I capelli, lavati e non più costretti nelle trecce dell'acconciatura, si rivelarono una
cascata di riccioli del colore dell'oro, che scendevano brillanti fino a metà della schiena dritta. La pelle era chiarissima, levigata come una pietra di fiume, senza un difetto visibile. Gli stracci di cui era coperta, bagnati, aderivano al corpo mettendo in evidenza la curva del seno e delle sue lunghe coscie tornite. Per un uomo che non conosceva il calore del corpo di una donna da settimane, era una visione che scatenava gli istinti più primitivi. Era sicuramente destinata alla camera da letto reale, e questo pensiero per qualche ragione mi provocò una lieve fitta alla bocca dello stomaco, che ignorai.


Purtroppo non fui l'unico a notare la sua bellezza, perchè non appena raggiunse la riva, vidi tre dei
guerrieri muovere verso di lei con la bocca semiaperta e lo sguardo vacuo. Fui più veloce di loro: mi misi tra lei e gli uomini, e feci in modo  che ritornasse al suo posto nella fila senza incidenti. Alyssa dovette notarlo, perchè mi rivolse un breve sguardo leggermente meno bellicoso del solito.
I tre invece non gradirono la mia intromisisone e fecero per avvicinarsi a me, scontenti, ma li precedetti:
- E' per il Re, signori, la vedete anche voi - li anticipai - non vorrete offrirgli un dono usato, mi auguro.
Mi girarono le spalle dopo un momento di esitazione e sparirono nel folto degli alberi, presumibilmente per dare sollievo all'evidente tensione al basso ventre.

2 commenti:

  1. Puff ma cos'è? L'hai scritto tu?? L'ho letto tutto d'un fiato!!!

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    1. Ehm... Si. Dovrebbe essere una specie di racconto, non è finito.

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